Patrizia Pelusi, a sinistra, con Maria e Laura

La storia di Maria Cantarella è una storia di rinascita e fiducia nella medicina. Due anni fa la diagnosi terribile: leucemia melodie acuta. Un’unica speranza: il trapianto di midollo. Oggi sorride dopo l’ultimo controllo in ospedale: “Per 5 anni sarò una sorvegliata speciale, ma ora ho un emocromo quasi perfetto, senza tracce di cellule maligne”. Impegni di lavoro, lunghe passeggiate sul lungomare, l’amore per i libri, tutto è tornato alla normalità. E al suo fianco c’è la sorella Laura, la persona che ha combattuto insieme a lei la battaglia per la vita iniziata nel luglio 2016, quando Maria, 68 anni, originaria di Napoli, ordinaria di Ingegneria chimica, all’Università dell’Aquila, ha già le valige pronte per partire per le vacanze estive. Ha appena terminato la sessione di esami, ma ha un fastidioso mal di gola, accompagnato da tosse, che non accenna a diminuire nonostante una settimana di antibiotico.

Prima di partire decide di chiamare il medico di famiglia. “La dottoressa mi lasciò senza parole – racconta – Disse che avrei dovuto fare subito le analisi del sangue per escludere un linfoma o una leucemia. Fu molto scrupolosa perché aveva avuto esperienze precedenti con pazienti con gli stessi sintomi, a cui era stata poi diagnosticata una malattia molto più grave di una faringite. Mi sembrò un’esagerazione, ma seguii il suo consiglio. Nel primo pomeriggio, ricevetti l’esito dell’emocromo: i valori erano tutti sballati”. Nel giro di 24 ore, la vita di Maria è stravolta. Viene ricoverata d’urgenza nel Dipartimento di  Ematologia dell’ospedale Santo Spirito dove le confermano la diagnosi anticipata a L’Aquila: leucemia mieloide acuta.

Casa Ail, un grande appoggio psicologico

“Lo ricordo come un momento di sbandamento totale accompagnato, però,  dalla convinzione che mi avrebbero seguito medici preparatissimi – prosegue Il primario, Paolo Di Bartolomeo, fu molto chiaro: mi disse che l’unica possibilità di uscirne era il trapianto allogenico. Accettai senza esitazione”.  Maria dimostra una grande forza d’animo,  inizia la chemio in isolamento e reagisce bene.Vicino a lei, ogni giorno, c’è Laura che ha paura per la vita della sorella a cui è legatissima e non sa come aiutarla ad affrontare le cure. “ Avevo trovato una stanza in un B&b dove mi sentivo molto sola – racconta con le lacrime agli occhi ricordando quei giorni di grande sconforto – Una psicologa  dell’ospedale mi consigliò di andare a Casa Ail. Una settimana dopo ero ospite della struttura dove ho trovato un aiuto infinito sia da parte delle operatrici e dei volontari dell’associazione  sia dei familiari di altri pazienti. Ho iniziato a capire cosa dovevo fare per aiutare mia sorella e a cosa saremmo andate incontro”. Dopo la prima chemio, Maria esce dall’ospedale ma preferisce non tornare a Napoli, sceglie l’ospitalità nella casa di accoglienza per avere un appoggio psicologico. “La malattia non si era ripresentata ed ero in attesa della seconda chemio, quella di consolidamento – ricorda – Facevo lunghissime passeggiate con Laura  sul lungomare, 10-12 km al giorno, mi aiutavano a sentirmi bene. Ad ottobre sono tornata in ospedale per la terapia, di nuovo in isolamento e, infine, una terza chemio meno forte. Poi, è iniziata l’attesa del trapianto”.

Il trapianto

Maria il giorno del trapianto

La telefonata arriva mentre sta facendo una delle sue passeggiate: finalmente c’è un donatore compatibile. “Ero la felicità personificata perché per me era l’unica possibilità di tornare a vivere  – continua – C’era anche l’eventualità che non andasse bene, ma ero sotto stretto controllo e avevo tanta fiducia nei medici”. Il 21 dicembre affronta il trapianto e tutto procede per il meglio fino al 6 gennaio, quando inizia a manifestare disturbi neurologici. “Sembrava un’altra persona perché dormiva continuamente, non rispondeva alle sollecitazioni e aveva lo sguardo perso nel vuoto – racconta Laura – E’ stato un periodo molto difficile. Quando i medici hanno capito che si trattava di una reazione allergica  a un farmaco, lo hanno cambiato e si è ripresa lentamente”. “Di quel periodo non ricordo nulla – aggiunge Maria – Rammento solo che un giorno riconobbi una dottoressa Prassede Salutari e la chiamai per nome. Lei esclamò: ‘Finalmente sei tornata’ e mi chiese come mi chiamavo. Le dissi il mio nome e, scherzando, le domandai se voleva sapere anche il codice fiscale”.

La rinascita

Il 25 febbraio Maria lascia l’ospedale e torna in Casa Ail dove migliora di giorno in giorno, grazie alla vicinanza e agli stimoli  delle persone con cui condivide la speranza della guarigione. “E’ stato un periodo meraviglioso  – commenta – A primavera avevo ripreso completamente le forze e a luglio sono tornata a casa. Faccio controlli periodici e a marzo ho ricominciato ad insegnare. Voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno aiutato a superare questo difficile momento della vita. Innanzitutto mia sorella, che è stata un’altra me stessa e che mi ha trascinato verso la guarigione perché ci sono momenti in cui non ce la si può fare da soli. Non c’è giorno, poi, in cui non rivolgo un pensiero di profonda gratitudine e riconoscenza al mio donatore di midollo, all’equipe medica, che è stata splendida non solo per le competenze professionali ma anche per la straordinaria umanità, e a tutti coloro che hanno fatto sì che oggi la mia vita abbia ripreso a correre. Un ringraziamento particolare lo rivolgo a Patrizia Narducci e Patrizia Pelusi, le due operatrici di Casa Ail, che mi sono state vicine, al presidente Cappuccilli, una persona veramente squisita. Dovrò attendere 5 anni per dire che la malattia è sconfitta definitivamente, ma mi sento bene. La ricerca scientifica è fondamentale ed è necessario sostenerla per migliorare la qualità della vita dei malati e accompagnarli verso la guarigione. E’ ugualmente importante essere accolti in strutture come Casa Ail, dove si possono incontrare persone che ce la stanno facendo e si possono condividere una ricchezza e una preparazione psicologica infinite. Migliaia di parole non avrebbero potuto sostituire quel rapporto intimo che c’è stato con altri malati in Casa Ail e che mi ha dato tanto coraggio”. Il futuro, ora,per Maria è più di una speranza.